I FANTASMI DEL CASTELLO DI MONSELICE

IL CASTELLO DI MONSELICE (PADOVA)

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Quella che un tempo  fu la residenza di Ezzelino da Romano, é additata come un luogo particolare ed ancor oggi sono più che mai vive alcune leggende che, forse, potrebbero avere un fondo di verità.
Le strutture essenziali degli edifici che costituiscono il Castello di Monselice fecero parte fino al 1405, di una fortificazione estesissima composta da ben cinque ordini di mura, di postazioni fortificate e di torri.
Questa serie di opere costituiva un sistema difensivo di primissimo ordine che risultava essere inespugnabile da chiunque l’avesse preso d’assedio.

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Dopo il 1405, la Repubblica di Venezia, una volta che ebbe conquistato il controllo del territorio patavino, ridusse la munizione del colle ad una sola cinta muraria interna. Solo qualche anno più tardi, il castello fu venduto alla famiglia Marcello che, dopo averlo restaurato e collegato gli elementi disgiunti, lo adattò a dimora signorile.
Dopo i gloriosi fasti del passato, il castello venne accomodato per meglio rispondere alle esigenze estetiche più consone ad un’elegante residenza che ad un invincibile presidio.
Ciò nonostante, la struttura, conserva ancora oggi un innegabile fascino e rende ancora perfettamente l’idea della sua snella possanza.

La storia di questo castello è a dir poco affascinante ed articolata.

Che il castello di Monselice presenti un suo lato assolutamente misterioso e affascinante, lo si intuisce subito dando un’occhiata a quanto è possibile ammirare al terzo piano.
A fianco alla prima finestra a sinistra, si nota una striscia verticale dove la stuccatura di calce é caduta in modo tale da lasciare disgregata la muratura.
Dietro a questa striscia, si apre all’interno della parete un canale assolutamente vuoto di cinquanta centimetri per un metro circa, oggi manomesso ed in parte ostruito.
Questo canale si estende fino a raggiungere un sotterraneo privo tuttavia di qualunque comunicazione diretta con l’esterno.
Allo stesso modo, altri tre canali identici , finivano nel sotterraneo cieco scorrendo dentro ad un muro di ponente.
Inutile dire che sulla funzione di questi strani elementi si sia discusso e fantasticato moltissimo.

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Secondo una corrente di pensiero, il sotterraneo dovrebbe rappresentare un pozzo di un trabocchetto o una “in pace” nella quale i condannati sarebbero stati calati giù per i quattro canali: l’ipotesi, che ricorda i noti “pozzi delle taglie” presenti in numerosissimi castelli medioevali , appare tuttavia difficilmente sostenibile: oltre alla inutilità degli accessi, la misura di questi canali é tale che ogni condannato avrebbe potuto lottare disperatamente puntellandosi entro l’alveo delle pareti e discendere in buona sicurezza fino al fondo.
Secondo altri, invece, laggiù si sarebbe fatto bollire la pece da rovesciare sul nemico in corso d’assedio.
Tuttavia, le pareti dei sotterranei sono assolutamente pulite e prive di tracce di affumicatura.
L’ipotesi più verosimile è dunque che i canali avrebbero consentito di raggiungere i più alti merli del castello arrampicandosi mediante ramponi di ferro e gradini di pietra (ora spariti ma sussistenti fino a cento anni fa circa).
Da diverso tempo inoltre,a ragione, si va ripetendo che il castello sia munito di una serie di gallerie sotterranee.
L’inizio di una di queste gallerie si apre in cima al colle nel fondo del mastio ed è stato risalito anche di recente per qualche metro finché i detriti non hanno permesso di procedere oltre.
Che qualche via segreta servisse il castello é quasi assodato dal momento che nessuna scala interna collegava i diversi piani.
Le modifiche apportate alla struttura originaria ad opera della famiglia Marcello, hanno reso impossibile una completa ispezione di questo articolato sistema ma, si può presumere che il sistema si estendesse fino al di sotto della zona fortificata che restava compresa tra la facciata orientale del Palazzo e la cortina attigua.

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Cà Marcello figura da molti anni tra i luoghi che, dovrebbero annoverare insolite presenze.
Sarebbero ben tre i fantasmi che a Monselice animano le notti del castello fatto riedificare dal tiranno Ezzelino da Romano sui resti di una fortezza più antica: quello di Avalda, la sua amante; quello di Jacopino da Carrara, signore di Monselice, e quello della sua amante Giuditta.
Avalda praticava le arti della stregoneria e della negromanzia, e aveva dimestichezza con l’uso del veleno. A nulla le valsero però quando il tiranno si stancò di lei. Scoperti i suoi turpi traffici la fece uccidere da un sicario, proprio nel castello in cui ancor oggi vaga insanguinata, in cerca di una pace che non può trovare.

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Jacopino Da Carrara incede invece lento per i corridoi trascinando i suoi passi incerti con l’aiuto di un bastone. Magro, consunto, appare coi lunghi capelli grigi spettinati. Nominato signore di Padova nel dicembre del 1350 assieme allo zio Francesco, fu da questi successivamente rinchiuso nel castello, sospettato dal congiunto di tramare contro di lui.
Jacopino trascorse diciassette anni senza poter uscire: alla fine per lui fu decretata la morte per fame, e le sue urla raccapriccianti furono udite per molti giorni, fino alla fine.

La sua amante, Giuditta, che fino all’ultimo fu tenuta all’oscuro del destino dell’uomo, vaga ancora oggi attorno al castello e nel buio della notte chiede ai passanti notizie del suo Jacopino.

 

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